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PROGETTO DIDATTICA
DIGITALE INTEGRATA
2021 05 11 (Il termine DAD è fuorviante perché enfatizza il senso della distanza) di Giovanna Borrello
Sarebbe più corretto utilizzare il termine DDV: Didattica Digitale di Vicinanza, perché attraverso la didattica digitale è possibile in realtà avvicinare all’apprendimento anche chi è lontano, chi vive nelle aree più marginali, anche studenti lavoratori che non possono frequentare.
C’è un equivoco da cui liberarsi.
Quando si parla di scuola in presenza si pensa al con-tatto, invece ciò che conta è la relazione. La possibilità di un contatto fisico - di per sè - non esclude la solitudine. La società di massa comporta molto spesso l’essere soli nella folla. Inoltre c’è differenza tra socializzare e comunicare. La socialità ,nella società di massa, degenera molto spesso in alienazione.
Nella scuola le classi di circa 35 alunni sono un facile strumento di massificazione dell’educazione e dell’istruzione. In classi così affollate al massimo si può fare una lezione frontale come semplice trasmissione di sapere.
Le classi come dice giustamente Galimberti per avere una funzione educativa devono essere massimo di 15 persone, solo così la scuola può essere inclusiva.
Ogni scolaro rappresenta un mondo, e non solo perché siamo in una società multiculturale. La scuola in presenza di oggi è una scuola a socialità massificante non educativa.
Ritornando alla relazione il fatto che manchi il con-tatto -ossia la carne- di per sè non implica che manchi il corpo. Il rapporto con il corpo si costruisce attraverso l’immagine.
La DDV non annienta il corpo che si percepisce soprattutto attraverso l’immagine: noi non comunichiamo con l’altro attraverso il tatto-Carne, ma attraverso l’immagine del corpo dell’altro anche in sua presenza fisica Già gli antichi accanto ai cinque sensi posero un sesto senso sensus fhantasticus che sintetizza le sensazioni che derivano da cinque sensi attraverso il fhantasmata (immagine).
Anche l’empatia può fare a meno della carne ossia dell’abbraccio fisico. L’empatia a differenza di quanto si possa pensare comunemente implica l’immedesimazione nell’altro che avviene attraverso “la visione” del corpo dell’altro, non attraverso il tatto, il con-tatto è una forma di comunicazione primitiva L’empatia non è una forma di comunicazione primitiva ma più evoluta perché avviene attraverso livello simbolico.
La prima cosa che vedo è il corpo. Nella relazione la carne - il tatto – non è essenziale.
La percezione non richiede il toccare, ma il vedere. Alle percezione appare il fenomeno che non è il mero apparire contrapposto all’essere ma è il suo stesso manifestarsi.
LinK - Socialità e Comunicazione : Didattica Digitale di Vicinanza di Giovanna Borrello
Le persone che sono contro la DDV, pensano che con questo medium i propri figli non possano socializzare, perché non sono in presenza, ossia non si possono toccare.
La socialità, però, non si regge sulla presenza intesa come contatto fisico ma sulla relazione, perché è ormai appurato che nella società di massa si può essere soli proprio stando a con-tatto con la gente, secondo la famosa espressione “Soli tra la folla”.
C’è differenza tra socialità e comunicazione.
Karl Jaspers, psichiatra e filosofo fenomenologico-esistenziale, che ha affrontato nei suoi scritti il tema, sostiene che non c’è socialità senza la comunicazione che è soprattutto comunicazione duale ed esistenziale.
La socialità di massa non si fonda sulla relazione tra gli uomini e donne presi singolarmente, ma sul <<noi>>, come massificazione della singolarità.
(K. Japsers-La situazione spirituale del nostro tempo).
Anche per Simone Weil il <<noi>> è espressione della massificazione del nostro tempo ed è un fattore negativo, perché “una massa non può pensare”.
La Weil critica l’idea del collettivo e della massa che ella considera come strumento di oppressione da parte di una società in cui la singolarità non ha alcun valore.
(S. Weil-Riflessioni sulle cause della libertà e della oppressione sociale)
Hannah Arendt, invece , nella sua definizione della comunicazione esistenziale, ricalca la concezione del mitsein heideggeriano piuttosto che del rapporto duale jaspersiano e weiliano. Il mitsein è il “si pensa” , “il si fa”, è l’impersonale e ben rende il carattere alienante della società di massa.
A tal proposito c’è da dire che Jaspers distingue tra comunicazione mondana e comunicazione esistenziale.
La comunicazione mondana o sociale da una parte può creare le condizioni per la comunicazione esistenziale, ma dall’altra può rendere gli uomini prigionieri delle forme sociali, e afferma che c’è il rischio che “io rimango un IO in genere, come un ripetitore”.
La comunicazione si ha a partire dalla presenza dell’altro come unità di corpo e anima.
Ciò può venire anche senza contatto fisico.
La DDV non annienta il corpo.
Noi comunichiamo con l’Altro non attraverso il tatto-Carne, ma attraverso l’immagine del corpo anche in sua presenza fisica.
Gli antichi accanto ai cinque sensi posero un sesto senso: il Sensus fhantasticus.
Questo senso, tanto in uso tra i trovatori e nelle definizioni dell’Amor Cortese, non è un senso che si aggiunge agli altri, ma sintetizza le sensazioni che derivano da cinque sensi attraverso il fhantasmata che Agamben, nel suo bel libro Stanze, fa risalire proprio alla nozione platonica di fhantasmata, che è l’ immagine impressa nell’anima dell’artista che trasferisce alle sue opere (Filebo).
Il fantasma, che non ha nulla a che vedere con la fantasia, è anche l’immagine che le sensazioni esterne imprimono nella memoria come se fosse una cera (Teeteto).
Aristotele riprende i motivi platonici e ne dà una sistemazione più ampia nel De Anima che è il fulcro della psicologia classica.
La sensazione lascia nell’anima una raffigurazione, un disegno che permane anche quando il movimento della sensazione si ferma, ossia anche in assenza della sensazione. Il fantasma è essenziale per la conoscenza ed è il fondamento dell’intelligenza.
Aristotele sostiene che anche l’intelletto è una specie di “fantasma”.
A proposito della fonazione, ossia del senso dell’udito, Aristotele scrive che noi udiamo solo la voce che ha un significato, una voce che abbia un fantasma, anche se avvertiamo il suono.
Sembra dare ragione proprio ad Aristotele il telefono, tra i primi medium.
Attraverso l’udito è la voce, infatti, che stabilisce la relazione, ma la parte fondamentale la fa l’ immaginazione ricostruendo la presenza dell’altro anche se non conosciamo di persona.
La DDV oltre che sull’udito si fonda sulla vista, che è fondamentale per riprodurre l’immagine totale del corpo dell’altro ed entrare con lui in relazione.
La teoria della Gestalt parla di percezione non come associazione di sensazioni ,ma come percezione della totalità della forma.
Nel guardare un quadro noi abbiamo la percezione del tutto e poi passiamo alla analisi dei particolari.
Per la Fenomenologia anche attraverso una piccola parte possiamo ricostruire la totalità dell’immagine dell’oggetto attraverso continue Abschattuung, ossia adombramenti.
Il fantasma platonico diverrà qualche secolo dopo la fantasia o immaginazione di Kant come luogo dell’ “appercezione sensibile”.
Senza la capacità della immaginazione di sintetizzare le sensazioni che ci vengono dai nostri sensi non avremmo coscienza di nulla ci dice Kant. In Fichte, poi, l' immaginazione da meramente riproduttiva diviene “produttiva" come funzione creatrice che fornisce all'intuizione i suoi contenuti. In Kant, infine, anche se l’immaginazione è il punto di mediazione tra intelletto e percezione sensibile, essa è una mediazione statica tra due funzioni, non è l’elemento originario e dinamico dell’atto unico della conoscenza che sarà al centro della fenomenologia di Husserl.
Per Husserl l’atto più elementare della conoscenza non è la sensazione ma la percezione che coglie l’oggetto nello spazio-tempo ed è l’ atto originario in cui l’oggetto si dà al soggetto nella sua evidenza.
Ma nella percezione sensibile noi non elaboriamo solo ciò che ci viene dall’esterno ma elaboriamo interno e esterno; nel vissuto (erlebnis) trovano unità categorie del soggetto, sentimenti, emozioni e sensazioni esterne.
Husserl non si pose solo il problema della fondazione della conoscenza dell’oggetto, ma anche della fondazione del soggetto conoscente e del come il soggetto riconosce in un mondo fatto di oggetti la soggettività dell’altro, che noi cogliamo in un primo momento come corpo-oggetto.
L’altro ci appare immediatamente come un oggetto, ma il corpo dell’altro non è un mero oggetto è un corpo soggetto, un corpo che incarna una soggettività.
Come risaliamo a questa soggettività? Per analogia e appaiamento, come il nostro corpo oggetto incarna una soggettività anche il corpo che mi sta avanti può incarnare una soggettività.
Il rapporto intersoggettivo di fonda quindi sull’ambiguità del corpo, io stesso posso veder il mio corpo come oggetto o soggetto a secondo che lo veda dall’esterno o lo sento dall’interno.
Mentre per la coscienza degli oggetti, questi si presentano in originale, ossia in carne e ossa, gli atti coscienziali altrui non si presentano in carne ed ossa ma per Einfuhlung che la Stain chiamerà empatia , ma potremmo parlare anche di tansfert, se questa dizione non fosse abusata in Psicoanalisi.
In questa costituzione non c’è solo la costituzione dell’intersoggettività, ma anche il passaggio dal mondo puramente naturale a quello umano e alla costituzione del mondo umano come mondo dei significati o/e il mondo simbolico di Cassirer.
L’Einfühlung, che oltre che in empatia si traduce con simpatia simbolica ( così fu definita da artisti del primo novecento), non avviene attraverso la tatto-carne, ma attraverso il livello immaginativo/ simbolico.
La conoscenza, intesa nella tradizione empiristica come passivo rispecchiamento delle “cose esistenti”, nella nuova prospettiva antropologico-critica si configura come “complesso di simboli intellettuali liberamente creati” e le stesse cose esistenti, viste come oggetto inerte di percezioni dei sensi, perdono il loro carattere oggettivo di mero “in sé”, per assumere il valore di altrettante rappresentazioni filtrate attraverso l’intuizione propria dell’individuo anche come componente d’una data cultura.
Il mondo non ci obbliga a una conoscenza che gli sia assolutamente conforme. È nella conoscenza e nel linguaggio che il “mondo oggettivo” – relativo ai diversi contesti culturali ai diversi ambiti del sapere – diventa il nostro mondo.
(Cassirer. La filosofia delle forme simboliche).
Giovanna Borrello